Login

IL CUNEO FISCALE? UN FALSO PROBLEMA

Tutti i partiti, pressantemente sollecitati da Confindustria, si sono accorti che nel nostro Paese il cuneo fiscale è molto elevato e sono propensi, almeno lo erano prima della crisi di governo, a ridurlo. Per capire la questione del cuneo fiscale è utile partire dalla nozione più generale di costo del lavoro. Quanto costa oggi un lavoratore medio in Italia? Importante rifarsi ai dati elaborati da Eurostat per il 2021. Nell’Europa a 27 membri il costo orario del lavoro – nelle sue tre componenti, salario netto, tassazione e contributi sociali – è molto variabile, passando dai 51,10 euro che costa un’ora di lavoro in Norvegia, agli 11,50 euro di un lavoratore in Polonia: la media UE è pari a 29,10 euro all’ora. È questo il dato, molto importante, a cui guardano le grandi imprese che fanno investimenti nei vari Paesi. Il costo del lavoro in Italia è di 29,30 euro ed è sensibilmente più basso di quello della Germania (37,20 euro) e della Francia (37,90 euro) ma più elevato della Spagna (22,90 euro). Quindi quando gli industriali puntano il dito sull’elevato costo del lavoro in Italia, lo fanno in maniera strumentale, laddove non basta loro parlare di bassa produttività. Il cosiddetto cuneo fiscale è rappresentato dagli oneri sociali e dalla tassazione, dedotti questi due parametri si arriva a costruire il salario netto in busta paga che è molto più basso del costo del lavoro ed è quello che interessa al lavoratore. Guardando ancora all’Europa, si prenda in esame la questione dei contributi sociali, una tassa proporzionale sul reddito da lavoro: gli oneri sociali, sempre misurati sul salario orario, ammontano mediamente nell’area Ue a 7,2 euro, ammontano a 8,3 euro in Germania e a 12,1 euro in Francia mentre l’Italia è al di sopra della media europea con un valore di 8,3 euro, esattamente come la Germania. Quindi, da questo punto di vista non sembra esistere un caso italiano, i contributi sociali in Italia sono allineati sui valori delle economie più avanzate. Se poi si pensa che questi contributi vanno a finanziare sostanzialmente la spesa pensionistica, che già da anni registra un forte deficit, diventa difficile intervenire su questo punto. Chi vuole ridurre questo onere, proposito legittimo, dovrebbe anche impegnarsi per un taglio delle pensioni "ricche" ma non sembra questo il caso dei politici italiani, in particolare della Lega di Salvini e segnatamente della Destra. Resta da esaminare la seconda componente del cuneo fiscale, cioè l’Irpef laddove, in questi ultimi anni, è stato fatto molto per ridurre il carico fiscale, sia direttamente che indirettamente. Basta ricordare i due provvedimenti del governo Draghi più importanti che hanno portato ad una riduzione di tasse per quasi 15 miliardi di euro: il bonus dei 100 euro per i redditi medio-bassi e la sostanziosa riduzione delle aliquote per i redditi medi. Quindi il cuneo fiscale è già stato ridotto attraverso la fiscalità e in maniera sostanziale e se questo è il contesto di riferimento - come in effetti lo è - c’è da chiedersi quale sia il senso della richiesta di una ulteriore riduzione del cuneo fiscale, al di là del generico clima da populismo fiscale che ormai intossica ogni discussione. L’unico soggetto realmente interessato al problema può essere Confindustria che, guarda caso, si è posta a capofila di questo movimento. Di recente gli industriali hanno spostato l’accento dalla tradizionale polemica sul costo del lavoro, che sarebbe troppo elevato in Italia (falso) a quella più nobile della riduzione del cuneo fiscale per dare più soldi ai lavoratori. Confindustria ha a cuore i redditi dei lavoratori e non solo i profitti dei bilanci aziendali? Può essere, ma c’è anche una seconda, pregnante, spiegazione: con un debito pubblico così elevato, ogni riduzione del cuneo fiscale porterà inevitabilmente ad una riduzione dei servizi garantiti dallo stato sociale e si comincerà, in alcuni casi sta già succedendo, con una ulteriore, progressiva privatizzazione. Ciò che Confindustria non è riuscita ad ottenere per altra via lo può realizzare, nel plauso generale, con una richiesta di uno shock fiscale sul costo del lavoro, perché a pagare il conto non saranno le imprese, ma le casse pubbliche oppure i lavoratori stessi, che dovranno pagare dei servizi sanitari, scolastici, sociali prima forniti gratuitamente. Il cosiddetto cuneo fiscale, cioè la quota di risorse che a finanziare i servizi collettivi, potrà anche essere rivisto, ma sicuramente va maneggiato con cura per non aumentare le disuguaglianze e discriminazioni già ampliamenti presenti nella nostra società. Il nostro sistema politico al momento è animato solo da sterili pulsioni elettorali, per ora non sembra in grado di reagire propositivamente alle pressioni confindustriali. Dopo le elezioni la risoluzione del problema dipenderà da chi siederà a palazzo Chigi.




Template per Joomla!®: Themza - Design: Il gatto ha nuove code