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ALL'ITALIA NON SERVE L'AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Secondo una recente analisi del Centro Studi della Cgia, in Italia ogni giorno viene generato un Pil del valore di 5,8 miliardi di euro, calcolato sommando i beni e i servizi finali prodotti in un certo periodo di tempo. Questi equivalgono a 99 euro al giorno per ogni cittadino italiano, inclusi neonati e ultracentenari. Emerge un quadro che evidenzia chiaramente un Paese spaccato in due. Le differenze regionali sono particolarmente evidenti nella produzione di Pil giornaliero per abitante:

• Trentino-Alto Adige: 146 euro

• Lombardia: 131,8 euro

• Valle d’Aosta: 130,1 euro

• Emilia-Romagna: 118,9 euro

• Veneto: 110,8 euro

• Lazio: 110,7 euro

• Friuli-Venezia Giulia: 106,8 euro

• Liguria: 106,1 euro

• Toscana: 104,3 euro

• Piemonte: 102,3 euro

• Marche: 91,1 euro

• Umbria: 84,0 euro

• Basilicata: 82,5 euro

• Abruzzo: 80,1 euro

• Molise: 73,0 euro

• Sardegna: 71,2 euro

• Puglia: 64,4 euro

• Campania: 63,4 euro

• Sicilia: 60,1 euro

• Calabria: 57,9 euro

Confrontando questi dati con gli altri Paesi dell’Unione Europea, emerge un significativo divario, specialmente rispetto ai Paesi del Nord Europa:

• Lussemburgo: 336 euro

• Irlanda: 266 euro

• Danimarca:  179 euro

• Paesi Bassi:  164 euro

• Austria:  149 euro

• Svezia: 145 euro

• Belgio: 140 euro

• Germania: 138 euro

• Finlandia: 138 euro

• Francia: 115 euro

• Malta: 102 euro

• Italia: 99 euro

Considerando tutti i ventisette Paesi dell’Unione Europea, l’Italia si colloca al 12° posto con un Pil pari a 99 euro al giorno per abitante. In termini di produttività del lavoro, misurata rapportando il valore aggiunto - Pil al netto delle imposte dirette - alle unità di lavoro standard (Ula) nel 2024 il dato medio in Italia è pari a 77 mila euro per Ula. L’unità di lavoro, equivalente a tempo pieno, rappresenta la quantità di lavoro svolta in un anno da un occupato a tempo pieno. Questa misura è omogenea e include anche il lavoro parziale, ridotto (come nel caso della cassa integrazione o di doppio lavoro) e le occupazioni con durate inferiori all’anno. Pertanto, l’unità di lavoro esprime il numero di ore annue corrispondenti a un’occupazione a tempo pieno, variabile in base all’orario contrattuale o alle caratteristiche dell’attività lavorativa (ad esempio, turni). A livello provinciale spicca la performance dell’area metropolitana di Milano che, nel 2024, ammonta a 282,9 euro giornalieri per Ula. Il capoluogo lombardo può contare su un valore aggiunto di 204,4 miliardi di euro, quasi 2 milioni di unità di lavoro standard e una produttività annua per Ula di 103.535 euro. Seguono Bolzano con 257,8 euro giornalieri, Lodi con 253,3 euro, Trento con 247,4 euro e Cremona con 246,1 euro per UlaA. In fondo alla classifica nazionale si collocano Benevento e Barletta-Andria-Trani, entrambe con 146,7 euro e Ragusa con 138,5 euro. Questa è la classifica delle prime 10 province:

• Milano: 282,9 euro

• Bolzano: 257,8 euro

• Lodi: 253,3 euro

• Trento: 247,4 euro

• Cremona: 246,1 euro

• Lecco: 242,1 euro

• Trieste: 240,9 euro

• Brescia: 238,3 euro

• Bologna: 237,7 euro

• Reggio Emilia: 236,3 euro

Ma perché la produttività italiana è così bassa rispetto all’Europa? Al netto dell’inflazione, negli ultimi 30 anni le retribuzioni medie degli italiani sono rimaste stagnanti, mentre in quasi tutta l’Unione Europea sono aumentate. Tra le cause di questo risultato si possono annoverare la crescita economica asfittica e il basso livello di produttività del lavoro che ha colpito il nostro Paese dal 1990, specialmente nel settore dei servizi. Ma c'è anche un altro fattore significativo di crisi: la mancanza di grandi imprese ha compromesso la competitività dell’Italia rispetto ai principali concorrenti europei. Come riporta il rapporto in esame: “Queste ultime sono pressoché scomparse non certo per l’eccessiva numerosità delle piccole realtà produttive, ma a causa dell’incapacità dei grandi player, spesso di natura pubblica, di reggere la sfida innescata dal cambiamento provocato dalla caduta del muro di Berlino e da Tangentopoli”. Con questa situazione in essere al nostro Paese non serve assolutamente autonomia differenziata, che darebbe un colpo mortale al già derelitto Mezzogiorno, bensì una nuova politica economica, una vera e propria Nep, che generi un possente effetto moltiplicatore. Lo sviluppo produttivo, infatti, dipende dalla domanda che a sua volta dipende dal reddito, che è uguale alla produzione: l'incremento della domanda fa aumentare la produzione; l'aumento della produzione porta a un aumento del reddito dello stesso ammontare, dato che domanda e produzione sono identicamente uguali in quanto assumono lo stesso valore per qualsiasi numero assuma la variabile; la crescita del reddito aumenta ulteriormente il consumo che a sua volta genera un aumento della domanda e così via.  Ma questo governo non ha alcuna intenzione di puntare al recupero socioeconomico del Mezzogiorno, rischiando di compromettere definitivamente l’efficacia degli eventuali stimoli alla domanda e quindi comprimere ulteriormente il Pil, le cui variabili più importanti sono, appunto, i consumi in quanto parte più importante degli impieghi e gli investimenti perché rappresentano il potenziale produttivo del Paese.

 (fonte: QuiFinanza, 9 giugno 2024)





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