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LA VIA TORTUOSA ALLA MONETA UNICA EUROPEA
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- Di Comintern
- Martedì, 09 Gennaio 2024 19:28
Sul finire del 1991 a Maastricht viene firmato il trattato per l'adozione della moneta unica entro la fine del decennio, ma nel settembre del 1992 esplode la crisi valutaria: lira e sterlina escono dal Sistema Monetario Europeo (SME) che legava le valute partecipanti a una griglia di cambio predeterminata e il rendimento dei titoli di stato si impenna. Venerdì 11 settembre 1992 i tassi sul mercato monetario arrivano a sfiorare il 40% e anche se il referendum francese di adesione all'Unione Monetaria Europea (UME) del successivo 20 settembre ha esito positivo con un’esigua maggioranza di voti a favore, le tensioni sui mercati sono solo parzialmente allentate. Come si arrivò a questa crisi? Bisogna tornare indietro di tre mesi, al 2 giugno, allorquando i cittadini danesi si pronunciano, seppur di misura, contro la ratifica del trattato di Maastricht. Scrisse all’epoca Fabrizio Saccomanni, ex Direttore Generale della Banca d'Italia: “Una scintilla apparentemente trascurabile quale un referendum in uno dei paesi più piccoli d'Europa, fa divampare un incendio senza precedenti nel cantiere della costruzione economica e monetaria europea” evidenziando il fatto che i mercati sono rapidissimi a realizzare le implicazioni del referendum e un'ondata speculativa senza precedenti investe anzitutto le valute Sme le cui economie presentano maggiori criticità sul fronte dei fattori fondamentali, rendendo le parità poco credibili: la lira è una delle vittime più colpite. A fronte dell'aggravarsi delle tensioni, a fine agosto di quell’anno, le posizioni dei governi dei principali paesi europei anziché convergere verso una soluzione concordata si irrigidiscono: in Francia perché si vuole evitare riallineamenti prima del referendum, in Germania perché si ritiene che manchino i presupposti per una riduzione dei tassi ufficiali. Il successivo 5 settembre l’ECOFIN si limita a rilasciare una semplice dichiarazione volta a non modificare le parità dei cambi nello SME in quanto di scarso impatto sui mercati finanziari. In effetti si ritiene che il problema serio riguarda soprattutto l'Italia e, quindi, in quel settembre 1992 i partner europei non riescono a capire che ci si trova, invece, in presenza di una crisi sistemica dello SME e che la crisi si può superare solo reinterpretando lo SME quale anticipazione della moneta unica con un impegno collettivo in assenza del quale può essere travolto anche il più modesto meccanismo di cambio. Negoziati febbrili si svolgono nel weekend 12-13 settembre: l'Italia dà la sua disponibilità alla svalutazione ma sostiene che un riallineamento della sola lira non sarebbe credibile per i mercati, specialmente se non accompagnato da un allentamento della restrizione monetaria in Germania. L'esito dell’incontro è che la lira svaluta del 7%, tutte le altre parità restano invariate e la Germania riduce il tasso di sconto di un minuscolo quarto di punto: con questa poco lusinghiera performance, lo SME si presenta sui mercati lunedì 14 settembre 1992. Nei giorni seguenti nuove tensioni speculative investono la lira, la sterlina e la peseta: Italia e Gran Bretagna annunciano di uscire dagli accordi europei di cambio dello SME, la Spagna svaluta la peseta del 5%. Tra il novembre 1992 e il maggio 1993 svalutano due volte ciascuna la peseta spagnola e l'escudo portoghese e una volta, del 10%, la sterlina irlandese. Si realizza così, in un'altalena di tensioni sui mercati, quel riallineamento ampio dello Sme che l'Italia aveva proposto senza successo nel settembre 1992 e la Banca d’Italia riporta gradualmente il tasso di sconto ai livelli pre-crisi ricostituendo le riserve in valuta. Il prezzo pagato dagli italiani è altissimo, un vero e proprio massacro sociale perpetrato nella notte tra il 9 ed il 10 luglio 1992. Il governo opera un prelievo forzoso ed improvviso del 6‰ su tutti depositi bancari, autorizzato da un decreto legge di emergenza varato mentre i mercati si accaniscono sulla Lira e declamate in fretta e furia tanto è il bisogno di liquidità. Dall’aumento dell’età pensionabile alla patrimoniale sulle imprese, dalla minimum tax all’introduzione dei ticket sanitari, dalla tassa sul medico di famiglia all’imposta straordinaria sugli immobili pari al 3‰ della rendita catastale rivalutata. Il prelievo sui conti correnti e l’ISI fruttano insieme 11.500 miliardi di lire. L’imposta straordinaria sugli immobili sarebbe poi diventata una gabella ordinaria: l’imposta comunale sugli immobili, ovverosia l’ICI. Diversamente da quanto il governo spera, la manovra economica di luglio più la finanziaria – che sfiorano insieme 100.000 miliardi di lire promuovendo anche la privatizzazione di quattro colossi statali come IRI, ENEL, INA ed ENI che divennero delle società per azioni – portano comunque l’economia italiana sull’orlo della recessione. A questo punto la lira è costretta ad uscire dallo SME neppure tre mesi dopo quella notte di luglio e nella primavera successiva Giuliano Amato si dimette da capo del governo.