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TROTSKIJ E STALIN
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- Di Comintern
- Domenica, 28 Ottobre 2012 19:14
Il Novecento è un secolo da ricordare...
Da ricordare per il semplice motivo che in quegli anni lo spettro del Comunismo divenne realtà e segnò in modo indelebile la riscossa di centinaia di milioni di donne ed uomini oppressi!!
Il Novecento è stato il secolo laddove in Russia, un paese governato da autocrati ed abitato da affamati, “cento giorni sconvolsero il mondo” e gli sfruttati divennero interpreti della propria realtà, rompendo le catene e costruendo un mondo nuovo... Era la rivoluzione socialista!!
Nelle fasi drammatiche che si susseguirono, un intero gruppo dirigente – la leva bolscevica – trasformò, non senza rotture drammatiche e scelte sofferte, un paese di servi della gleba nella seconda potenza economica mondiale; negli anni compresi tra il IX Congresso (1920) ed il XV Congresso (1927) si delineò il modello di sviluppo che l’Unione Sovietica avrebbe costruito e si definì il gruppo dirigente che avrebbe guidato la realizzazione del socialismo.
Il chiacchiericcio politico borghese (e non solo) impersona la lotta politica all’interno di un intero gruppo dirigente, in un’epoca eroica e drammatica per il futuro della Russia, come lo scontro tra Trotskij e Stalin, tra il teorico della “rivoluzione permanente” e quello del “socialismo in un paese solo”, assolvendo Trotskij (il mito) dalle imputazioni fatte a Stalin (la realtà).
Senza avere la presunzione di sostituirmi al chiacchiericcio borghese, provo ad aprire un dibattito, qualcuno direbbe una provocazione, ma...non violenta!! Si dice che Trotskij fosse stato il teorico della “rivoluzione permanente” e Stalin quello del “socialismo in un paese solo”; il primo convinto che se la rivoluzione russa non avesse superato le frontiere sarebbe finita nel nulla ed il secondo convinto che il socialismo potesse sopravvivere in un paese solo (tesi sostenute, tra gli altri, da Isaac Deutscher, George Lichtheim, Robert V. Daniels). Ebbene, seguiamo gli eventi.
Durante gli anni del comunismo di guerra – allorquando cominciò ad apparire chiaro che la rivoluzione non era esportabile – i dirigenti bolscevichi si divisero sostanzialmente in “isolazionisti” ed “integrazionisti” , laddove i primi propendevano per una Russia isolata dal contesto economico mondiale ed i secondi sostenevano la necessità di integrarla comunque negli affari internazionali. Trotskij fu il principale teorico dell’isolamento economico, convinto com’era che il comunismo di guerra avrebbe consolidato il socialismo in Russia in attesa dell’esportazione della rivoluzione. Solo nel 1925 – dal comunismo di guerra si era gia passati alla N.E.P. – egli divenne “integrazionista” (sostenendo la necessità di vasti legami commerciali con l’Occidente e del massimo possibile di investimenti stranieri) e si contrappose a Stalin e Bucharin (che avevano individuato nell’industrializzazione l’unica possibilità di sfuggire alla dipendenza economica dall’Occidente). Stalin aveva enunciato la dottrina del socialismo in un paese solo nel 1924; a differenza di Zinoviev e Kamenev – da subito contro “la deviazione ideologica” – Trotskij si schierò con i due solo sul finire del 1926 nella speranza che Stalin abbandonasse l’asse con Bucharin. In effetti, per quanto detto, Trotskij non sosteneva l’inevitabilità di una rivoluzione mondiale per costruire il socialismo in Russia, nè prediceva che senza una trasformazione socialista dell’Europa la Russia era condannata alla stagnazione. Trotski non si opponeva al concetto di “socialismo in un paese solo” (sotsializm v odnoj strane) bensì all’idea di Stalin di “socialismo in un paese separato” (sotsializm v otdelnoj strane) perchè convinto che dalla deliberata creazione di un’economia isolata sarebbe derivata l’autarchia, la quale avrebbe portato al disastro la Russia (tesi sostenute da Alec Nove e Richard B. Day).
Le figure di Trotskij e Stalin si intrecciano anche – scomparsi entrambi ma sempre utili a fini politici – nell’ambito del rapporto Kruscev al XX Congresso del Partito (1956), strumento nelle mani della cricca revisionista imperante. Se da quel momento la figura di Stalin viene consegnata alla storia quale ritratto di “un enorme, cupo, capriccioso, degenerato mostro umano” (Isaac Deutscher), ebbene rileggendo criticamente tutti gli atti che riguardano l’operato del “piccolo padre dei popoli” – in una fase drammatica dello sviluppo e del consolidamento della rivoluzione – ci si rende conto che “il mito” del “rapporto segreto” non regge in confronto alla “realtà” degli avvenimenti che si susseguirono, tenendo ben presente, però, che si era nel pieno di una lotta rivoluzionaria in un paese isolato ed assediato. Ma l’obiettivo del nuovo gruppo dirigente che usciva dal XX Congresso era proprio quello di dare uno chock alle popolazioni sovietiche al fine di iniziare un nuovo corso segnato, ad uso interno, dal forte carattere di rottura con lo stalinismo. Stalin viene descritto come mostro sanguinario che divora la vecchia guardia bolscevica a cominciare da Kirov, dirigente di Leningrado, suo fraterno amico. Il resto è tutto un susseguirsi di purghe e crimini opera di un “degenerato mostro umano”. La realtà (Stalin) è tragica, il mito (Trotskij) resiste; la costruzione del socialismo in Unione Sovietica, la guerra patriottica, le conquiste economiche e sociali, tutto preda di un dittatore sanguinario. Non è così, non è così semplice, non è così scontato: dalla morte di Lenin in poi la spaccatura nel gruppo dirigente bolscevico è al punto di non ritorno, tutti contro tutti e tutti contro Stalin. Ma questi aveva il compito di continuare la rivoluzione!! E l’opposizione interna ed esterna non esita a tramare contro la rivoluzione, spingendo il gruppo dirigente che si raccoglie intorno a Stalin ad una brutale reazione. Illuminanti a questo proposito, le testimonianze che ci fornisce Ruth Fischer – comunista tedesca e membro del Presidium del Komintern dal 1922 al 1924, poi fiera anticomunista – la quale in suo libro di memorie pubblicato negli Stati Uniti racconta come si sviluppa in Russia una rete clandestina di resistenza contro “il regime totalitario” insediatosi a Mosca. Siamo nel 1926, Kamenev e Zinoviev si riavvicinano a Trotskij, e cominciano ad organizzare una rete clandestina per la conquista del potere che si estende “...fino a Vladivostok”: corrieri diffondono documenti riservati del Partito e dello Stato o trasmettono messaggi cifrati, i dirigenti dell’opposizione si incontrano segretamente in un bosco nelle vicinanze di Mosca per analizzare ed approfondire l’aspetto militare del loro programma, valutando il ruolo di quelle unità dell’esercito pronte ad appoggiare il colpo di stato. La Fischer continua: “Si trattava di una questione in larghissima parte tecnica, che doveva essere discussa tra i due leaders militari, Trotskij e Lasevic. Poichè, in quanto vice-comandante dell’Armata Rossa, Lasevic era pur sempre in una posizione legale migliore, fu incaricato lui di elaborare i piani per l’azione militare contro Stalin”. E’ in questo contesto che vanno inquadrate le manifestazioni di piazza organizzate l’anno dopo per il decimo anniversario della rivoluzione d’ottobre; da Mosca e Leningrado avrebbero dovuto estendersi ad altri centri industriali e “costringere la gerarchia di partito a cedere”.
Sconfitto, Trotskij è in esilio, ma la sua attività controrivoluzionaria con legami all’interno della Russia non cessa. Nel 1929 riceve la visita di Blumkin – agente dei servizi di informazione dell’Armata Rossa – colui che, all’epoca socialista rivoluzionario, assassinò l’ambasciatore tedesco a Mosca nel 1918 per far fallire i colloqui di pace con l’obiettivo di far scatenare la Germania, non per farle vincere la guerra ma per dimostrare ai russi che il gruppo dirigente bolscevico era imbelle. Blumkin continuò a cospirare passando nelle file trotskiste e finì fucilato. Nel chiamare alla lotta contro la “dittatura burocratica” Trotskij scrive che la si combatte ancora meglio cammuffandosi, occultando l’intenzione di voler minare e rovesciare il potere. I cospiratori – continua – si attengono ad una precisa regola : “Fanno le loro autocritiche, riconoscono i loro errori e vengono per lo più trasferiti. Quelli che la stampa stalinista chiama ormai gli uomini dal doppio volto, o anche la frazione sinistra-destra, cercano da quel momento contatti che permetterebbero loro di allargare il fronte della resistenza alla politica di Stalin. Su questa strada incontrano altri gruppi...” (Pierre Brouè). Ed ancora, nel 1933, egli scrive: “La liquidazione del regime di Stalin è assolutamente inevitabile...e non molto lontana” (Pierre Brouè). Chiarificatrici le parole di uno storico russo, di dichiarata fede trotskista, Wadim S.Rogowin: “I processi di Mosca non furono un crimine immotivato e a sangue freddo bensì la reazione di Stalin nel corso di un’acuta lotta politica” .
Mi piace chiudere questo scritto con le “realistiche” parole di Isaac Deutscher: “Nel giro di tre decenni, il volto dell’Unione Sovietica si è completamente trasformato. Il nocciolo dell’azione storica dello stalinismo è questo: esso ha trovato la Russia che lavorava la terra con aratri di legno e la lascia padrona della pila atomica. Ha innalzato la Russia al grado di seconda potenza industriale del mondo e non si è trattato soltanto di una questione di puro e semplice progresso materiale e di organizzazione. Un risultato simile non si sarebbe potuto ottenere senza una vasta rivoluzione culturale nel corso della quale si è mandato a scuola un paese intero per impartirgli un’istruzione estensiva”.