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INFLAZIONE ALTA? AUMENTARE I SALARI
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- Di Comintern
- Venerdì, 13 Gennaio 2023 18:30
A dicembre 2022 l’inflazione si mantiene più o meno stabile all'11,6% rispetto all’11,8% del mese precedente ma erodendo ulteriormente il reale potere d’acquisto dei cittadini. Nel report «Prospettive per l’economia italiana» pubblicate dall'Istat il 6/12 u.s. viene scritto in modo chiaro che l'inflazione “è attesa decelerare nei prossimi mesi, anche se con tempi e intensità ancora incerti” e viene anche prevista una crescita sostenuta del Pil italiano nel 2022 (+3,9%) con un rallentamento nel 2023 (+0,4%). La nota aggiunge anche che “nel biennio di previsione, l’aumento del Pil verrebbe sostenuto dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (rispettivamente +4,2% e +0,5%) mentre la domanda estera netta fornirebbe un apporto negativo in entrambi gli anni” e per quanto riguarda gli investimenti la stima è che possano rappresentare l’elemento di traino dell’economia italiana oltre che nell’anno corrente (+10%) anche, seppure in misura più contenuta, nel 2023 (+2%). Nel biennio di previsione l’Istat stima che l’occupazione crescerà più del Pil con un aumento più accentuato nel 2022 (+4,3%) rispetto a quello del 2023 (+0,5%) trascinando in discesa, di conseguenza, il tasso di disoccupazione (-8,1%) nel 2022. Il nostro Paese è caratterizzato da un sistema di trasformazione in larghissima parte dominato dalla piccola impresa; le centinaia di migliaia di microimprese italiane dovranno fare sempre più i conti con un forte aumento dei prezzi di energia, materie prime e semilavorati che difficilmente riusciranno ad assorbire nel breve periodo. L’inflazione sta erodendo il mercato interno, bruciando consumi e potere d’acquisto con effetti di impoverimento di fette crescenti della popolazione. Gli economisti sono concordi nel ricordare che almeno cinque punti dell’attuale inflazione dipendono da fattori che non sono contemplati nell’indicizzazione dei salari e questo significa che i salari, già molto bassi e in decremento negli ultimi trent'anni rispetto agli atri paesi europei, diventeranno ancora più poveri in termini reali. Nel frattempo, gli ammortizzatori sociali messi in campo dal precedente governo Draghi e il ricorso alla cassa integrazione – strumenti assolutamente costosi in termini di spesa pubblica – risultano del tutto insufficienti e la creazione di nuovi posti di lavoro manifesta una sostanziale tendenza alla ristrutturazione dell’occupazione operata dalle imprese con oltre la metà dei nuovi occupati con un contratto a termine; tutto egoisticamente finalizzato a massimizzare il profitto nelle condizioni date. La stessa inflazione ha (pericolosamente) convinto la Banca Centrale Europea (BCE) a ridurre le politiche monetarie espansive con la conseguente impossibilità di ricorrere al debito per finanziare la spesa pubblica e a rialzare, dopo più di un decennio, i tassi di interesse. Nel caso delle ultime leggi di bilancio, varate per ultimo dal governo Draghi, circa la metà delle coperture di spesa dipendono dal debito garantito dalla BCE e il grado di rischio percepito si abbassa, con il debito pubblico italiano che viene avvertito come un pericolo minore rispetto al solito, nonostante non sia mai stato a livelli così alti. Conseguentemente lo spread è in discesa a seguito dei minori timori sulla sostenibilità del debito pubblico dell'Italia. Nonostante ciò, la crisi economica e finanziaria aggravata dalla guerra e dalle sanzioni, spinge verso l’alto il costo delle materie prime e dell’energia mettendo in crisi vasti settori della siderurgia e della meccanica, mentre l’embargo di alcune importazioni dalla Russia, come il legno, può mettere in ginocchio il comparto dell’arredamento. Con riferimento, poi, al settore agricolo sono evidenti ed impattanti le difficoltà dovute all’esplosione dei prezzi di grano tenero e fertilizzanti. In questo contesto appare a tutti gli esperti come sia difficile fare previsioni, ma il problema per l'Italia è tremendamente serio: in un’economia incapace di reggere l’incertezza dovrebbe indurre tutti a uscire dalla convinzione che basti realizzare in tempi brevi gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Bisognerebbe, piuttosto, anche a seguito delle indicazioni fornite dall’Istat nel report citato, innestare una misura economica d’urgenza, in assenza della volontà – ma anche delle oggettive contingenze mondiali – di intraprendere la strada di una nuova politica economica. Tre cose sarebbero necessarie subito:
1. un tetto europeo ai prezzi dell’energia
2. una definanziarizzazione immediata almeno del settore dei beni agricoli
3. la destinazione quantomeno del nuovo debito contenuto nel Pnrr al sostegno al potere d’acquisto dei cittadini europei.
Senza queste precondizioni, i prossimi mesi saranno molto duri soprattutto se prevalesse la logica di evitare gli aumenti salariali, vista e considerata la tenace ed insulsa opposizione della Confindustria e della forze politiche fiancheggiatrici della Destra di governo all’introduzione per legge del salario minimo se non addirittura del meccanismo della scala mobile. Se l’inflazione cresce solo per l’aumento dei prezzi di energia e materie prime, non ci sarà alcun effetto sul Pil nominale (relativo alla produzione di beni e servizi misurata in prezzi correnti) e sulla sostenibilità del debito. La crescita del Pil, composto da valori che vengono aggiornati con l’inflazione, potrà essere inflazionata e sospinta, quindi, da un aumento del salario indicizzato per favorire il riequilibrio degli indici di debito (Debito/Pil) che tenderanno a scendere e a far salire il Pil nominale che potrà rendere il rapporto Debito/Pil più sostenibile. Bloccare le retribuzioni in piena inflazione comporta un impoverimento diffuso difficile da accettare e da giustificare politicamente. Altro fattore di tensione è dato dalla forzata propensione al risparmio degli italiani in questa fase di forti tensioni dovuti alla crisi militare e politica e alla conseguente crisi economica. Secondo l’ultimo report dell’Abi, la raccolta diretta delle banche italiane, composta da depositi e obbligazioni delle famiglie, ha superato ad aprile di quest’anno i 2mila miliardi di euro mentre – come ha ricordato il Governatore della Banca d’Italia nelle sue Considerazioni finali – il risparmio gestito, quello immesso in fondi di investimento e strumenti collegati, ha raggiunto i 1.300 miliardi di euro. Complessivamente, pertanto, il risparmio degli italiani ha una capacità superiore ai 3,3mila miliardi di euro: il 22% in più del debito pubblico e 1,85 volte il Prodotto interno lordo, ben oltre i 270 miliardi di euro del tanto atteso Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Questo denaro oggi potrebbe rivelarsi prezioso per sostenere un deciso cambio di passo nelle politiche di sviluppo del nostro Paese, che necessita investimenti tanto immateriali – istruzione, ricerca, qualità del tessuto sociale e delle istituzioni pubbliche – quanto tangibili, per recuperare il gap infrastrutturale verso gli altri Paesi europei (strade, ferrovie, aeroporti, etc.), la funzionalità degli apparati energetici e logistici, una digitalizzazione estesa ed effettiva. L'Italia ha tremendamente bisogno di rilanciare il proprio sviluppo produttivo. Bisogna, pertanto, tenere presente che lo sviluppo produttivo dipende dalla domanda che a sua volta dipende dal reddito, che è uguale alla produzione, in economia si chiama effetto moltiplicatore: l'incremento della domanda fa aumentare la produzione; l'aumento della produzione porta a un aumento del reddito dello stesso ammontare, dato che domanda e produzione sono identicamente uguali in quanto assumono lo stesso valore per qualsiasi numero assuma la variabile; la crescita del reddito aumenta ulteriormente il consumo che a sua volta genera un aumento della domanda e così via. Se persiste, però, un clima di forte incertezza c'è il rischio di compromettere l’efficacia degli eventuali stimoli alla domanda e quindi comprimere ulteriormente il Pil, le cui variabili principali sono, appunto, i consumi in quanto parte più importante degli impieghi e gli investimenti perché rappresentano il potenziale produttivo del Paese. Tutto questo in uno scenario di guerra e di sanzioni dagli effetti imprevedibili e incalcolabili.