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La teoria leninista della rivoluzione democratica e della rivoluzione socialista
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- Di Comintern
- Sabato, 28 Gennaio 2012 18:30
Una teoria leninista della rivoluzione, completa e organica, esiste. Si pensa, di solito, che Lenin abbia portato dei fondamentali contributi allo sviluppo del marxismo nel campo della teoria del partito e nell' analisi dell' imperialismo; la teoria leninista della rivoluzione o è data per scontata, o è ignorata. Alla radice del revisionismo moderno vi è l'esplicito rifiuto della teoria leninista della rivoluzione proletaria, o la sua elusione, o il suo tacito abbandono. La teoria di Lenin, elaborata nel corso della prima rivoluzione (quella del 1905) e nel corso delle due rivoluzioni del 1917 (quella di Febbraio e quella di Ottobre) ha trovato la sua conferma storica nella lunga esperienza pratica del bolscevismo, sotto la direzione politica prima di Lenin e poi di Stalin.
La teoria rivoluzionaria del bolscevismo ha il suo fondamento scientifico nel materialismo storico, nell'analisi materialistica delle classi sociali, del loro rapporto con i mezzi di produzione in base allo sviluppo storicamente raggiunto dalle forze produttive. Si fonda, dunque, su una ricognizione marxista della struttura della società (non separandola, certo, da una ricognizione anche delle sovrastrutture politiche e ideologiche, ma guardando, in primo luogo, alla struttura di una formazione economico-sociale, alla posizione che in essa occupano le varie classi sulla base dei loro interessi materiali). L'abbandono dell'analisi materialistica della società è una delle fondamentali caratteristiche del revisionismo, da cui sono derivate tutte le illusorie fumisterie, tutti i vuoti castelli di carta che esso ha costruito - nel corso di lunghi decenni - su un terreno meramente ideologico e "culturale". Una seconda precisazione è necessaria, contro la banalizzazione piccolo-borghese del concetto di rivoluzione, oggi inflazionato fino a designare fenomeni di vita e di costume fra i più eterogenei e insignificanti. In che consiste, dal punto di vista marxista, una rivoluzione? Essa è il passaggio del potere politico statale da una classe a un'altra classe sociale. Per fare tre esempi chiarissimi: la rivoluzione francese e la rivoluzione d'Ottobre furono realmente delle rivoluzioni, perchè nella prima il potere politico statale passò dalle mani dell'aristocrazia a quelle della borghesia, e nella seconda passò dalle mani della borghesia a quelle del proletariato; la cosiddetta "rivoluzione fascista" (come la chiamavano pomposamente i suoi autori) non fu affatto una rivoluzione, perchè prima del 1922-26 il potere politico di Stato si trovava, in Italia, nelle mani della borghesia e, dopo l'avvento al potere del fascismo, continuò ad essere saldamente nelle mani della stessa classe borghese.
La teoria rivoluzionaria del bolscevismo è una teoria nuova rispetto a quella elaborata dalla II^ Internazionale, basata su un’interpretazione falsa – perchè economicistica e deterministica – del materialismo storico. Il leninismo fa giustizia di questa errata e impotente interpretazione, risuscita il contenuto rivoluzionario del marxismo e lo sviluppa in un’integrale strategia della rivoluzione, affrontando e risolvendo sia i problemi decisivi della rivoluzione democratica, sia quelli della rivoluzione proletaria che ha per obiettivo il socialismo. Ognuna di esse ha le sue forze motrici (le classi sociali che vi partecipano): nel passaggio dall'una all'altra rivoluzione, cambiano le forze motrici, muta lo schieramento di classe rivoluzionario, cambiano le alleanze del proletariato.
Fondamentali sono le indicazioni contenute nell’opera “Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica” scritta nel 1905 da Lenin e nella quale egli affronta le questioni della prima rivoluzione russa e indica anche i compiti del proletariato per gli anni futuri, che culmineranno nella Rivoluzione d'Ottobre del 1917:“Il proletariato deve condurre a termine la rivoluzione democratica legando a se la massa dei contadini, per schiacciate con la forza la resistenza dell'autocrazia e paralizzare l'instabilità della borghesia. Il proletariato deve fare la rivoluzione socialista legando a sè la massa degli elementi semiproletari della popolazione, per spezzare con la forza la resistenza della borghesia e paralizzare l'instabilità dei contadini e della piccola borghesia. Tali sono i compiti del proletariato ".
La teoria rivoluzionaria di Lenin è teoria della "rivoluzione ininterrotta", (che nulla ha a che vedere con la concezione trotzkista della "rivoluzione permanente"): "Dalla rivoluzione democratica cominceremo subito, nella misura delle nostre forze, delle forze del proletariato cosciente e organizzato, a passare alla rivoluzione socialista. Noi siamo per la rivoluzione ininterrotta. Non ci arresteremo a metà strada".(“Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica”)
Chiaro e pertinente è il commento di Stalin a queste indicazioni di Lenin: "Questa concezione di Lenin era la nuova teoria della rivoluzione socialista, realizzata non dal proletariato isolato contro tutta la borghesia, ma dal proletariato egemone che ha per alleati gli elementi semiproletari della popolazione, ossia innumerevoli "masse di lavoratori e di sfruttati". [...} I socialdemocratici dell' Europa occidentale ritenevano che, nella rivoluzione socialista, il proletariato sarebbe stato solo contro tutta la borghesia, senza alleati, contro tutte le classi e gli strati non proletari. [...] I socialdemocratici dell'Europa occidentale ritenevano perciò che le condizioni per la rivoluzione socialista in Europa non fossero ancora mature e lo sarebbero divenute solo allorchè il proletariato fosse divenuto la maggioranza della nazione, la maggioranza della società, conseguentemente all'ulteriore sviluppo economico della società". (“Storia del Partito Comunista[bolscevico] dell'URSS”)
Chiave di volta della strategia leninista della rivoluzione è, dunque, la teoria dell' egemonia del proletariato, che si contrappone nettamente all'economicismo, ad entrambe le sue varianti, apparentemente opposte, ma le cui radici sono comuni:
- l'economicismo che punta sullo sviluppo economico del capitalismo (riformismo classico, secondo il quale si giunge al socialismo senza rottura rivoluzionaria, attraverso una successione di riforme, consentite appunto dal crescente sviluppo capitalistico e dalla presunta crescente "democratizzazione" dello Stato borghese)
- I'economicismo che punta, invece, le sue carte sul meccanicistico e irresistibile procedere di una crisi economica - più o meno breve o lunga - del capitalismo, che spinge in modo indifferenziato le masse alla rivoluzione (concezione che è alla base di ogni avventurismo ed estremismo antileninista)
Naturalmente, parlando di egemonia il riferimento è alla sua concezione rivoluzionaria, così come elaborata da Lenin, da Stalin e da Gramsci, e non alla sua deformazione revisionista concepita e realizzata, in Italia, da Palmiro Togliatti e dal gruppo dirigente togliattiano del PCI, che l' hanno sradicata dai suoi fondamenti materialistici e classisti e l' hanno intesa idealisticamente come una direzione puramente culturale, suscettibile di essere gradualmente estesa a tutta la società mentre sono ancora imperanti i rapporti di produzione capitalistici.
Essenziale, nella teoria leninista della rivoluzione, è il concetto di situazione rivoluzionaria, a cui si giunge dopo un lungo periodo di accumulazione delle forze e di costante "assedio alla fortezza nemica" (Lenin). Un assedio fatto di prolungate lotte di massa in ogni campo e ad ogni livello della società. La situazione rivoluzionaria coincide con una particolare congiuntura politica, con una particolare "svolta degli avvenimenti", che consente – dopo il lungo periodo di accumulazione delle forze – l'assalto proletario per la presa del potere. Lenin ammonisce che le situazioni rivoluzionarie si presentano molto raramente nel corso della storia e che, quando tutte le condizioni oggettive sono mature per la rivoluzione, spetta all'elemento soggettivo (al Partito Comunista) saper cogliere il momento decisivo e guidare il proletariato all'abbattimento del potere borghese; se ciò non avviene, la situazione rivoluzionaria si esaurisce, e il compito – per l'avanguardia comunista del proletariato – ridiventa quello di una nuova accumulazione delle forze. Nell' epoca dell'imperialismo si creano, in determinati momenti, situazioni rivoluzionarie che, per effetto della legge dell' ineguale sviluppo del capitalismo, consentono la rottura della catena imperialistica mondiale nel suo anello debole (o in più anelli deboli), cioè nel punto nodale, nel punto di convergenza di tutte le contraddizioni dell'imperialismo mondiale.
Per esempio, nel 1917 fu la Russia il punto di convergenza di tutte queste contraddizioni.
La rivoluzione proletaria attraversa varie fasi di sviluppo:
- la fase di preparazione della rivoluzione cioè "assedio alla fortezza nemica" (Lenin), "guerra di posizione" (Gramsci); il primo compito del partito è la conquista dell' avanguardia cosciente del proletariato, fondamentale è il lavoro di propaganda e di agitazione da svolgere in seno alla classe operaia
- la situazione rivoluzionaria che si manifesta con tre sintomi principali, analizzati da Lenin soprattutto in due suoi importanti scritti [“Il fallimento della II Internazionale” e “L'estremismo, malattia infantile del comunismo”] e cioè
- 1.la classe dominante si è indebolita a tal punto, per effetto delle sue prolungate zuffe interne, da non essere più in grado di governare come prima; l'apparato repressivo della borghesia entra in decomposizione
- 2.le forze intermedie della democrazia piccolo-borghese si sono ormai completamente screditate con i loro fallimenti pratici (esaurimento del ciclo politico dei partiti opportunisti); compito del partito comunista è, quindi, disgregare questi partiti politici intermedi che rappresentano altrettanti ostacoli sulla via della rivoluzione
- 3.nel quadro di un grande aumento dell'attività delle masse, che si orientano decisamente verso l'azione rivoluzionaria, il proletariato sente come ormai intollerabili le sue condizioni di vita economiche e sociali ed è pronto - come dice Lenin - ad "affrontare anche la morte" per dare l'assalto al potere sotto la guida del partito comunista
nel loro insieme, queste tre condizioni esprimono non una semplice crisi di governo, ma una crisi politica di tutta la nazione (come disse Lenin) laddove, quindi, la situazione è matura per la battaglia decisiva (in condizioni storiche particolari, come quella che vi fu in Russia tra il febbraio e l'ottobre 1917, può crearsi, prima dello scontro finale, una situazione breve e transitoria di dualismo di potere, come quello che oppose in Russia i soviet al governo provvisorio)
- l’insurrezione perché i comunisti non sono blanquisti, non credono che la rivoluzione proletaria possa essere attuata con un colpo di mano di un pugno di congiurati; la condizione fondamentale per l'assalto al potere borghese è la conquista della maggioranza (politicamente attiva) del proletariato da parte della sua avanguardia comunista (il Partito) il quale deve essere riuscito anche a neutralizzare – con la sua tattica politica – la maggioranza degli strati intermedi piccolo borghesi, paralizzandone l'instabilità; la guerra civile, la lotta armata per la presa del potere, è l'ultima fase nella quale culmina la lotta rivoluzionaria nei paesi ad alto o medio sviluppo capitalistico
La presa del potere non esaurisce la rivoluzione. Essa non è che un momento, anche se decisivo, della rivoluzione proletaria: la lotta di classe continua, anche se in modo diverso, per tutto il periodo di transizione (costruzione del socialismo sotto la dittatura proletaria) fino al comunismo.
La dittatura del proletariato
Connesso e conseguente alla teoria leninista della rivoluzione è il tema fondamentale, decisivo e discriminante della teoria politica marxista: quello della dittatura del proletariato. Dittatura di una classe sociale (contro il punto di vista borghese volgare, per il quale non vi è altra dittatura se non quella di un individuo, il cui imperio è sinonimo di sfrenata ambizione personale, arbitrio e sopraffazione).
Le prime riflessioni politiche, ancora parziali, sulla necessità di una dittatura proletaria per la vittoria rivoluzionaria sulla borghesia sfruttatrice furono il frutto del bilancio politico compiuto dai rappresentanti dell'ala sinistra del giacobinismo francese, nella linea espressa da Babeuf, da Buonarroti e da Blanqui. Ma è solo con Marx ed Engels che vengono gettate le basi di una compiuta teoria scientifica della dittatura del proletariato, alla cui ulteriore elaborazione Lenin e Stalin daranno, in seguito, apporti decisivi, in stretto legame con la pratica storica del bolscevismo.
Due sono le ragioni che costituiscono i fondamenti della teoria marxista della dittatura proletaria:
- una ragione storica, di carattere generale, che il marxismo trae dal bilancio delle rivoluzioni che hanno preceduto la rivoluzione proletaria; nessuna classe oppressa ha mai potuto accedere al dominio senza attraversare un periodo di dittatura, cioè di conquista del potere politico e di repressione violenta della resistenza furiosa che alla classe rivoluzionaria hanno sempre opposto i suoi antagonisti di classe (basti ricordare la dittatura di Cromwell e delle "teste rotonde" in Inghilterra nel secolo XVII, e la dittatura di Robespierre e del Comitato di Salute Pubblica in Francia nel secolo successivo)
- una ragione specifica, che attiene al carattere particolare della rivoluzione proletaria rispetto alle rivoluzioni borghesi che l' hanno storicamente preceduta (qual è la differenza fondamentale fra le due rivoluzioni? mentre, nelle rivoluzioni borghesi, i rapporti di produzione capitalistici si erano già sviluppati in seno alla società feudale prima della rivoluzione e la borghesia doveva soltanto abbattere il potere politico in possesso dell'aristocrazia feudale e costruire il proprio Stato, il proletariato deve, invece, impadronirsi del potere politico per introdurre i rapporti di produzione socialisti trasformando da cima a fondo l'economia e la società, perché i rapporti di produzione socialisti non si sviluppano mai spontaneamente in seno alla società capitalistica. La democrazia proletaria non è una democrazia che, come quella borghese, vive sul terreno della proprietà privata, ma una democrazia che si sviluppa sulla base della lotta per l'abolizione della proprietà privata).
La dittatura del proletariato è enormemente più democratica di ogni forma di dittatura borghese, perché è dittatura della maggioranza della popolazione lavoratrice su una minoranza di sfruttatori. E' una democrazia di tipo superiore rispetto alla democrazia parlamentare borghese. La repubblica borghese, anche la più democratica, è soltanto una macchina statale che consente a una minoranza di capitalisti di opprimere, di schiacciare la classe operaia e le masse lavoratrici: da un lato, le libertà di parola, di riunione, di associazione sono perennemente limitate e condizionate dalla strapotenza del denaro, del capitale; dall'altro, la borghesia, quando vede realmente minacciato il proprio potere dal proletariato avanzante, non esita a distruggere quelle stesse limitate libertà e a trasformare il proprio Stato in una aperta dittatura fascista. Nella dittatura proletaria, invece, l'intero apparato statale ha come fondamento unico e permanente l'organizzazione di massa delle classi (operai e semiproletari) che si sono liberate vittoriosamente dal capitalismo.
Compito politico della dittatura del proletariato:la distruzione violenta della macchina statale borghese e la sua sostituzione con un nuovo tipo di Stato (uno Stato del tipo della Comune di Parigi).
Finalità economica della dittatura del proletariato: realizzare un più alto tipo di organizzazione sociale del lavoro rispetto al capitalismo (Lenin) per la costruzione di un'economia e di una società socialista, fase di transizione per il passaggio a una società senza classi e senza Stato, la società comunista.
Contro le concezioni opportuniste della socialdemocrazia, l'ampia esperienza storica del XX secolo ha dimostrato che, quando la rivoluzione proletaria è all'ordine del giorno, non esistono vie di mezzo o "terze vie". L'unica alternativa è: o dittatura della borghesia o dittatura del proletariato. Come scrive incisivamente Lenin: "Il punto essenziale, che i socialisti non comprendono e in cui consiste la loro miopia teorica, la loro soggezione ai pregiudizi borghesi e il loro tradimento politico nei confronti del proletariato è che nella società capitalistica, di fronte all'acuirsi più o meno forte della lotta di classe che ne costituisce il fondamento, non può esistere nulla di intermedio tra la dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato. Ogni sogno di una qualsiasi terza via è querimonia reazionaria piccolo-borghese".
E' quanto ribadivano le Tesi di Lione, approvate – sotto la direzione rivoluzionaria di Antonio Gramsci – dal Partito Comunista d'Italia nel suo III Congresso del 1926. A proposito della parola d'ordine intermedia del "governo operaio e contadino", che il partito agitava in quegli anni per far comprendere "anche alle masse più arretrate la necessità della conquista del potere" e "per portarle sul terreno che è proprio dell'avanguardia proletaria più evoluta (lotta per la dittatura del proletariato)", la tesi n. 44 precisava che tale parola d'ordine "non corrisponde a una fase reale di sviluppo, storico"… “Una realizzazione di essa, infatti, non può essere concepita dal partito se non come inizio di una lotta rivoluzionaria diretta, cioè della guerra civile condotta dal proletariato, in alleanza con i contadini, per la conquista del potere. il partito potrebbe essere portato a gravi deviazioni dal suo compito di guida della rivoluzione qualora interpretasse il governo operaio e contadino come rispondente ad una fase reale di sviluppo della lotta per il potere, cioè se considerasse che questa parola d'ordine indica la possibilità che il problema dello Stato venga risolto nell'interesse della classe operaia in una forma che non sia quella della dittatura del proletariato".
Esauritosi in Russia nel 1917, con la vittoria della Rivoluzione d'Ottobre, il periodo transitorio del dualismo di potere, i bolscevichi non esitarono a sciogliere l' Assemblea Costituente quando risultò evidente che i Soviet rappresentavano l'autentica base di massa della democrazia proletaria. Se la conquista del Palazzo d'Inverno rappresentò, a Pietrogrado, l'epilogo della lotta proletaria sul piano politico-militare, lo scioglimento dell' Assemblea Costituente rappresentò il decisivo momento di rottura rivoluzionaria con la continuità dello Stato sul piano politico-istituzionale.
Bisognerà sempre ricordarlo contro tutte le soluzioni piccolo-borghesi che l'opportunismo socialdemocratico (soprattutto quello "di sinistra") ha sempre invocato (e continuerà anche in futuro a farlo) per la soluzione del problema dello Stato. Esempio caratteristico, la linea proposta da Otto Bauer e dall'austromarxismo in quegli anni decisivi per la sorte della rivoluzione proletaria in Europa: creare soviet anche in Austria sull'esempio russo, ma legalizzarli entro il sistema costituzionale borghese, concedere loro diritti statali (il diritto di sospendere le decisioni dell'Assemblea nazionale, il diritto di promuovere referendum popolari); collegare, insomma, organicamente il sistema dei Soviet (cioè la dittatura del proletariato) con l' Assemblea nazionale (cioè con la dittatura della borghesia).
Essenza politica della dittatura proletaria non è, come sosteneva Kautsky contro Lenin, una semplice condizione di dominio di una classe su un'altra, a cui il proletariato potrebbe giungere anche per via pacifica attraverso una maggioranza parlamentare, ma uno stato di violenza rivoluzionaria di una classe contro un'altra: l'abbattimento dello Stato borghese da parte della classe proletaria e dei suoi alleati non è un rivolgimento pacifico. Per quanto riguarda la sua nascita, la dittatura proletaria non è predeterminata da alcuna legge: essa nasce dall'iniziativa rivoluzionaria delle masse popolari. Per quanto riguarda il suo esercizio, il potere proletario non è limitato da alcuna legge. Nello Stato socialista di transizione esiste, naturalmente, una legalità socialista, un insieme di norme che debbono essere rispettate; ma la dittatura del proletariato non è uno Stato di diritto.
Per quanto riguarda la sua forma politica, la dittatura del proletariato ha assunto storicamente, nel XX secolo, forme diverse. I Consigli dei deputati operai e dei soldati (Soviet) in Russia e (ma per un tempo assai breve) in Baviera ed in Ungheria, dopo la prima guerra mondiale. Altre forme, dopo la seconda guerra mondiale: i Consigli popolari (Albania); le Assemblee popolari e i Comitati popolari (Cina); le Assemblee popolari e i Comitati popolari (Corea del Nord); i Comitati del Fronte nazionale (Cecoslovacchia); i Comitati del Fronte patriottico (Bulgaria), e via dicendo. Dopo la seconda guerra mondiale i Comitati di Fronte nelle democrazie popolari, anche quando hanno avuto, per i primi anni della loro esistenza, compiti fondamentalmente democratici e antimperialisti, a partire da un certo momento in poi - cioè col passaggio ininterrotto alla rivoluzione socialista - hanno assolto gli stessi compiti della dittatura del proletariato che in Russia furono assolti dai Soviet. Questi organismi (Soviet, Consigli e comitati popolari, Comitati di Fronte, ed altri.) nascono inizialmente come organismi di massa e di lotta ma debbono tendere a trasformarsi dialetticamente – nel corso del processo rivoluzionario – prima in embrioni di potere proletario e – dopo la vittoria definitiva della rivoluzione – in organismi statali. Due esempi in positivo: Russia 1917, Cecoslovacchia 1948. Un esempio negativo: la sorte dei Comitati di Liberazione Nazionale (CLN) in Italia, rapidamente liquidati dalla borghesia (senza adeguata reazione da parte del gruppo dirigente revisionista del PCI) dopo la vittoriosa insurrezione partigiana del 1945.
Una volta compiuta questa loro trasformazione, i Soviet e gli altri organismi ad essi affini diventano strutture di potere dello Stato proletario, uno Stato del tipo della Comune di Parigi. Il loro compito, come Lenin ha ampiamente illustrato in alcuni suoi scritti fondamentali (“Stato e rivoluzione”- “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”- “Le Tesi per il I° e per il II° Congresso dell'Internazionale Comunista”) è quello di avvicinare sempre più le masse lavoratrici all'apparato amministrativo mediante la fusione del potere legislativo e del potere esecutivo, e di dar vita a un nuovo tipo di rappresentanza politica, mediante la sostituzione delle circoscrizioni elettorali puramente territoriali (tipiche del sistema rappresentativo borghese) con unità elettorali fondate sui luoghi di produzione e di lavoro (fabbriche, officine, laboratori, cantieri, aziende agricole, uffici), il mandato imperativo imposto agli eletti, il controllo permanente sui deputati e la loro revoca in caso di inadempienza ai loro doveri. Su questo nuovo tipo di Stato rappresentativo, è del più alto interesse riportare alcune riflessioni svolte da Gramsci in carcere negli anni Trenta.
In una nota dei suoi Quaderni, dopo essersi riferito alle accuse che le destre borghesi hanno sempre mosso al regime parlamentare e al sistema dei partiti, Gramsci osserva: "Che il regime rappresentativo possa politicamente "dar noia" alla burocrazia di carriera s'intende; ma non è questo il punto. Il punto è se il regime rappresentativo e dei partiti, invece di essere un meccanismo idoneo a scegliere funzionari eletti che integrino ed equilibrino i burocrati nominati, per impedire ad essi di pietrificarsi, sia divenuto un inciampo e un meccanismo a rovescio e per quali ragioni. Del resto, anche una risposta affermativa a queste domande non esaurisce la quistione: perché anche ammesso (ciò che è da ammettere) che il parlamentarismo è divenuto inefficiente e anzi dannoso, non è da concludere che il regime burocratico sia riabilitato ed esaltato. E' da vedere se parlamentarismo e regime rappresentativo si identificano e se non sia possibile una diversa soluzione sia del parlamentarismo che del regime burocratico, con un nuovo tipo di regime rappresentativo” (“Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno”). Gramsci ha in mente il regime rappresentativo sovietico e, in un'altra nota, prendendo ancora una volta lo spunto dagli attacchi di destra, di origine oligarchica e reazionaria, al regime parlamentare borghese, così continua:"Queste affermazioni banali sono state estese a ogni sistema rappresentativo, anche non parlamentaristico e non foggiato secondo i canoni della democrazia formale. In questi altri regimi il consenso non ha nel momento del voto una fase terminale, tutt'altro. Il consenso è supposto permanentemente attivo, fino al punto che i consenzienti potrebbero essere considerati come "funzionari" dello Stato e le elezioni un modo di arruolamento volontario di funzionari statali di un certo tipo, che in un certo senso potrebbero ricollegarsi (in piani diversi) al self-government. Le elezioni avvenendo non su programmi generici e vaghi, ma di lavoro concreto immediato, chi consente si impegna a fare qualcosa di più del comune cittadino legale per realizzarli, a essere cioè un'avanguardia di lavoro attivo e responsabile. L'elemento "volontariato" nell'iniziativa non potrebbe essere stimolato in altro modo per le più larghe moltitudini, e quando queste non siano formate di cittadini amorfi, ma di elementi produttivi qualificati, si può intendere l'importanza che la manifestazione di voto può avere" (“Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno”).
E' una bellissima e intelligente difesa della democrazia proletaria incarnata nei Soviet contro la democrazia borghese. Per realizzare una dittatura completa, una dittatura totale sulla borghesia (non una dittatura fragile e incompleta come fu quella della Comune di Parigi), il proletariato deve avvalersi di alcuni indispensabili strumenti:
- le quattro "leve" della dittatura che sono i Soviet (espressione diretta della dittatura della classe proletaria); i sindacati, quale fondamentale organizzazione di massa di tutti i lavoratori; la cooperazione, nel quadro dell'economia pianificata socialista; l'organizzazione della gioventù
- la forza dirigente di tutto il sistema e cioè l'avanguardia del proletariato, il Partito, che svolge un ruolo di guida, di orientamento politico, ed impartisce precise direttive attraverso il suo legame indissolubile con le varie organizzazioni sovietiche.
Dittatura del proletariato, dunque, o dittatura del Partito? "Senza una direttiva del partito, nessuna questione politica ed organizzativa importante viene risolta dalle nostre organizzazioni sovietiche e dalle altre organizzazioni di massa. In questo senso si può dire che la dittatura del proletariato è essenzialmente la "dittatura della sua avanguardia, la dittatura del suo partito". "Essenzialmente", "in sostanza", ma non "per intero". "La dittatura del proletariato è, per ampiezza, più vasta e più ricca della funzione dirigente del partito" (Stalin)."Il partito è il nocciolo del potere". "Ma esso non può essere identificato col potere dello Stato". Il partito non può sostituirsi alla classe; non può ne deve sostituirsi ai Soviet; la dittatura "deve essere realizzata attraverso l'apparato sovietico" (Stalin).
E' necessario, a tal fine, fondere le più alte gerarchie dei Soviet con le più alte gerarchie del Partito: questa "unione personale" era già stata raccomandata e attuata da Lenin nei primissimi anni dopo la rivoluzione, ed è proseguita nel periodo staliniano. Alla luce di questi principi generali, tratti dalla teoria marxista e dalla pratica concreta del bolscevismo, è compito dei comunisti analizzare a fondo tale esperienza, sia per ricavarne tutti gli insegnamenti validi anche per le future rivoluzioni comuniste, sia per verificare come tali principi siano stati applicati, anche con limiti ed errori, da quegli uomini in carne ed ossa, da quella classe, da quei Partiti comunisti, in quelle particolari circostanze storiche, nel corso di una lotta mortale fra imperialismo e socialismo su scala mondiale. Lenin ci ha suggerito con quale spirito e con quale metodo dobbiamo esprimere le nostre valutazioni: "Il comunismo non si può fondare se non con il materiale umano creato dal capitalismo, perché non si possono mettere al bando a annientare gli intellettuali borghesi, e bisogna vincerli, rifarli, trasformarli, rieducarli, così come si debbono rieducare, nel corso di una lunga lotta, sul terreno della dittatura del proletariato, i proletari stessi, che dei propri pregiudizi piccolo-borghesi non si liberano di punto in pianto, per miracolo, per ingiunzione della madonna e neppure per ingiunzione di una parola d'ordine, di una risoluzione, di un decreto, ma soltanto nel corso di una lotta di massa lunga e difficile contro le influenze piccolo-borghesi di massa". (“Estremismo, malattia infantile del comunismo”)