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QUANDO IL DEBITO PUBBLICO SERVE ALLO STATO
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- Di Comintern
- Mercoledì, 03 Aprile 2024 12:32
Per decenni il debito pubblico è stato descritto come un fardello, un macigno che ci schiaccia. A marzo 2020, l'Europa fu colta di sorpresa dalla pandemia, ma si leggeva sul Financial Times che secondo Mario Draghi, che da pochi mesi aveva lasciato la presidenza della Banca Centrale Europea, la risposta alla crisi avrebbe dovuto comportare "un significativo aumento del debito pubblico". Chiara anche la posizione di Francesco Giavazzi, principale consigliere di Draghi a Palazzo Chigi allorquando a gennaio 2021 ha scritto: "E un errore continuare a ripetere che il nostro problema maggiore è il debito pubblico: il nostro problema maggiore sta nell'assenza di crescita. Se la nostra economia crescesse più rapidamente del nostro debito, ripagarlo non sarebbe necessario". Concetto che Giavazzi l’anno dopo ha rafforzato, affermando che "il debito è un concetto del secolo scorso" e che "se non hai un piano buono chiudi il rubinetto, se invece hai un buon progetto lo finanzi". In pratica, la questione chiave è che il debito pubblico è ritenuto diverso dai debiti privati: si rinnova continuamente («roll over») e non si deve mai ripagare una volta per tutte. Tentativi di ridurre drasticamente o addirittura ripagare del tutto il debito pubblico hanno, infatti, spesso portato a crisi finanziarie, come nel 1835, quando gli Stati Uniti ripagarono totalmente il proprio debito ma innescarono subito dopo una tremenda crisi finanziaria. Nel 1996 l'economista Frederick Thayer faceva notare che "gli Stati Uniti hanno attraversato sei depressioni economiche significative e ognuna di esse fu preceduta da un prolungato periodo di riequilibrio di bilancio". Il punto fondamentale dal quale e sul quale gli economisti elaborano ed affinano questa teoria è che lo Stato non è inteso come una famiglia al punto che il prestigioso economista "liberal" americano, John Kenneth Galbraith riteneva che “il confronto tra famiglia e Stato non sta in piedi. La ricchezza e la solvibilità di una nazione dipendono da ciò che produce la sua economia”. Se prestiti e spese fanno aumentare la produzione, come sostiene Keynes, accrescono anche la sua solvibilità e solo di rado invece i prestiti e le spese aumentano la ricchezza di una famiglia. In più c'è anche un altro aspetto da sottolineare: una famiglia ha un orizzonte temporale limitato, lo Stato no, perché nasce e crolla, ma non “muore” per cause naturali come le famiglie. Il debito pubblico è fondamentale perché, negli assetti istituzionali attuali, permette di sostenere la spesa pubblica e quindi l'attività economica. Quindi, in un sistema economico e politico funzionante, il debito pubblico è il titolo più sicuro in assoluto, se "usato" e "sostenuto" da una poderosa crescita economica, anche in situazioni di inflazione moderatamente alta (in Italia si stima al 2,2% nel 2024 e al 2% nel 2025) perché questa situazione può anche, addirittura, portare giovamento al Pil. Secondo dati elaborati da analisti finanziari a fine 2023, la fetta più grossa del debito italiano si trova in mano ai residenti, che detengono il 72% circa del debito pubblico italiano. In particolare, quasi 700 miliardi di euro appartengono a Banca d'ltalia, 650 miliardi di euro alle banche italiane, altri 350 miliardi di euro ad assicurazioni e fondi pensioni e, infine, altri 382 miliardi di euro fanno capo a famiglie e aziende. Ma per incrementare il Pil e per ridurre il rapporto debito/Pil, fermo restando lo sforamento dei parametri europei sul debito pubblico, bisogna cambiare radicalmente politica economica. E per percorrere questa via il governo deve puntare su massicci investimenti pubblici ed orientare quelli privati, aumentare la spesa pubblica con un deciso incremento delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione, settore nel quale siamo molto indietro rispetto ai principali partner di riferimento, rilanciare lo sviluppo produttivo, spingere per aumenti salariali e per l’incremento delle esportazioni, gestire/favorire nel contempo un aumento, regolato, dell'inflazione che rimetta in moto la ripresa dei consumi. Un’inflazione che si riposizioni intorno al 2% – come la BCE suggerisce da tempo – è utile ai Paesi con elevati stock di debito, come l’Italia, proprio ai fini dell’incremento del Pil, al contrario della deflazione. Un'inflazione troppo bassa o una deflazione vera e propria, infatti, hanno un effetto negativo perché se lo stock di debito pubblico accumulato, da finanziare con nuove emissioni di titoli obbligazionari, è solitamente a prezzi costanti, e resta quindi invariato nel tempo, il Pil cala a prezzi correnti in quanto composto da valori che vengono aggiornati, in questo caso negativamente, con l’inflazione troppo bassa o peggio. Stando così le cose, la crescita del Pil, composto appunto da valori che vengono aggiornati con l’inflazione, dovrà invece essere (moderatamente) inflazionata e sospinta, quindi, da un aumento del salario medio per favorire il riequilibrio degli indici di debito (Debito/Pil) che tenderanno a scendere. In questo possente obiettivo può essere di aiuto al governo lo stanziamento delle somme previste dal «Recovery Fund» in aggiunta, però, ad un'azione incisiva su reddito e consumi delle famiglie italiane con investimenti pubblici che siano di traino a quelli privati al fine di rilanciare lo sviluppo produttivo e incrementare il Pil. Bisogna generare un effetto moltiplicatore: l'incremento della domanda fa aumentare la produzione; l'aumento della produzione porta a un aumento del reddito dello stesso ammontare, dato che domanda e produzione sono identicamente uguali in quanto assumono lo stesso valore per qualsiasi numero assuma la variabile; la crescita del reddito aumenta ulteriormente il consumo che a sua volta genera un aumento della domanda e così via. Se persiste un clima di forte incertezza c'è il rischio di compromettere l’efficacia degli eventuali stimoli alla domanda e quindi comprimere ulteriormente il Pil, le cui variabili principali sono, appunto, i consumi in quanto parte più importante degli impieghi e gli investimenti perché rappresentano il potenziale produttivo del Paese. È questa la variabile fondamentale della tenuta finanziaria di uno Stato. Questo è il problema principale dello Stato italiano. Questo è il problema che l’attuale governo del capitale non intende affrontare.