Login

CON DRAGHI SI RITORNERÀ ALLA TECNOCRAZIA PROGRESSISTA?

La “tecnocrazia progressista”, figlia dell’Illuminismo, che guardava con fiducia alla ragione e al progresso comincia a prendere forma nella società industriale a cavallo tra Ottocento e Novecento. Le caratteristiche principali di questo tipo di tecnocrazia sono state tratteggiate dapprima da Saint‐Simon agli inizi dell’Ottocento e poi successivamente dai movimenti tecnocratici americani e poi ancora fino agli anni ’70 del novecento da importanti intellettuali come Karl Mannheim, Kenneth Galbraith, fino ad arrivare alla società post‐industriale descritta da Daniel Bell e Alain Touraine, dove lo sviluppo di questo tipo di tecnocrazia era finalizzato soprattutto a riequilibrare le contraddizioni del modo di produzione capitalistico attenuando il conflitto tra capitale e lavoro, una conflittualità dalle quale derivavano tutte le crisi. Mario Draghi sarà colui che ridarà vita e forza alla tecnocrazia che guarda al sociale? Nel dicembre 2020 un documento del G30 a cura di gruppo di esperti in materia economica, tra cui Mario Draghi, dava qualche indicazione su cosa sarebbe stato bene fare per provare a lasciarsi la pandemia alle spalle il più in fretta possibile. Questo documento potrebbe essere una bussola importante per capire come il governo Draghi gestirà una serie di dossier cruciali sul fronte dell’economia. Una delle più importanti sfide che attende l’Italia è il piano per spendere il Recovery Fund e la chiave di un razionale impiego dei fondi, si legge sul documento del G30, è una massiccia dose di investimenti laddove andrebbero favoriti, in particolare, quelli «a più alto rendimento» ossia capaci di generare un ritorno in termini economici e sociali soprattutto per gli Stati ad alto debito pubblico. Puntare, infatti, sugli investimenti giusti vuol dire avere più chances di rendere l’indebitamento sostenibile. Draghi non è a tutti i costi per l’interventismo statale: dal documento si deduce come il team di esperti da lui presieduto sia favorevole all’intervento dello Stato solo quando necessario, quando senza di esso i costi sociali sarebbero altissimi, e come incentivi e ristori a pioggia vadano evitati perché a volte si traducono in infruttuose elargizioni, specie nel caso delle cosiddette «aziende zombie» cioè quelle destinate al fallimento. È inutile, scrivono gli esperti nel documento citato, praticare su aziende in crisi una specie di accanimento terapeutico, se si capisce che sopravvivrebbero giusto per il tempo di erogazione dei sussidi. Dovranno, quindi, essere fatti opportuni distinguo tra le aziende che non possono essere salvate e quelle che, con un aiuto mirato, possono ripartire evitando di sprecare soldi. In tal modo, il governo dovrebbe incoraggiare aggiustamenti nel mercato del lavoro, si legge nel documento stilato dal G30, con la conseguenza che alcuni lavoratori dovranno cambiare azienda o settore supportati da appropriati percorsi di riqualificazione e assistenza economica. Ma un probabile governo Draghi supporterà concretamente i lavoratori?




Template per Joomla!®: Themza - Design: Il gatto ha nuove code