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L'ORO BIANCO DI SICILIA E LA VIA DEL COTONE

In Sicilia abbiamo l’oro bianco di una qualità che piace ai marchi d’alta moda. Un tempo veniva coltivato su migliaia di ettari, specialmente tra Agrigento e la piana di Gela ma con l'arrivo delle fibre sintetiche il cotone siciliano scomparve, piegato anche dagli alti costi di produzione. All’inizio degli anni Ottanta gli ettari coltivati a cotone si erano ridotti a poco più di duemila, fino alla cancellazione completa della coltura nell’Isola. Ma grazie all'iniziativa di venti produttori, che oggi coltivano cotone su un’estensione di cento ettari, la coltivazione è ripresa, con l'obiettivo di ricreare una filiera made in Italy e da pochi anni, dopo che a lungo si era fermata la produzione, il cotone è tornato a fiorire nei campi dell’Isola. Lo spazio di mercato non manca a cominciare da Ovs, griffe italiana che si è assicurata una fornitura con cui punta alla produzione di 30 mila capi entro quest'anno e anche aziende multinazionali hanno chiesto di collaborare con le imprese siciliane. Attualmente le imprese italiane comprano il cotone principalmente da India, Cina, Stati Uniti e Pakistan ma la Sicilia può contribuire a riequilibrare questa sproporzione perché il microclima siciliano è particolarmente adatto alla coltivazione del cotone. Inoltre, la reintroduzione di questa coltura è un fatto importante, perché permette di chiudere una filiera italiana che dovrà essere supportata da un grande stabilimento per la sgranatura. Oggi ci sono cento ettari distribuiti nei comuni di Castelbuono, Pollina, Marina di Tusa, San Cipirello, San Giuseppe Jato, Monreale, Partinico e Calatafimi. Secondo Paolo Guarnaccia, ricercatore del dipartimento di Agricoltura, alimentazione e ambiente dell’Università di Catania, coltivare un ettaro, escluso il momento della raccolta, costa circa 700 euro l’anno: “Questa cifra contiene i costi per la manodopera, le concimazioni, l’innaffiamento e il gasolio per i macchinari di raccolto”. Ogni ettaro frutta una tonnellata e mezza di cotone grezzo, che viene venduto a un prezzo medio di due euro al chilo: “L’incasso medio è di circa tremila euro l’anno, cui vanno aggiunti circa altri mille euro per la vendita delle sementi”. Si arriva così a una resa di circa quattromila euro l’anno per ettaro, che però prevede “un rispetto rigoroso del nostro disciplinare di produzione”. L’adesione alla filiera, spiega l’esperto, comporta diversi vantaggi: “Anzitutto noi ci assumiamo la metà della spesa per le sementi, che normalmente costano 100 euro l’ettaro ma che offriamo a 50 euro ai nostri produttori”. Inoltre la raccolta si svolge in modo interamente meccanizzato, a carico della filiera: “Nel periodo di raccolta, che inizia a ottobre, assumiamo circa dieci persone, cui garantiamo un contratto da 80 euro al giorno più i contributi, e che in 45 giorni smaltiscono circa dieci ettari di campo a testa”. Da ultimo, ma non meno importante, la possibilità di utilizzare un impianto di sgranatura a Castel di Tusa. Per il futuro, il gruppo punta a incrementare le produzioni. Ribadisce Guarnaccia: “L’attenzione verso la nostra iniziativa è alta, come dimostrano i contatti avviati con alcuni grandi marchi. Per questo puntiamo ad arrivare a circa cinquemila ettari coltivati a cotone entro il 2026”. Con questo importante e strategico investimento di imprenditori italiani, il governo "dei patrioti" apre alla «Via del cotone» consentendo all'India di inondare il nostro mercato di materia prima a basso costo, creando le premesse per una nuova, forse definitiva, mazzata per il nostro Made in Italy. Ma i "suggerimenti" di Biden a Meloni nel corso del G20 tenutosi proprio in India vengono passivamente accolti dal nostro governo. Con buona pace del nostro ministro del made in Italy.




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