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L'ORO DI ROMA

Nei primi mesi dell'anno è stata nuovamente paventata da Paolo Savona, discusso economista anti-euro, l’ipotesi di utilizzare le riserve aure dell’Italia per ridimensionare il debito pubblico e, in definitiva, per evitare dolorose manovre correttive e scongiurare l’aumento dell’Iva. Ma sarebbe una mossa propositiva?
Se il nostro Paese procedesse alla vendita di tutto l’oro in questione - 2.451 tonnellate circa - entrerebbero nelle casse dello Stato, secondo gli esperti, non più di 112 miliardi di dollari e cioè meno di 100 miliardi di euro: una bella cifra ma ben poco in pratica rispetto ai circa 2mila miliardi di euro del nostro debito pubblico, il quinto più alto del mondo senza contare le conseguenze dovute all’inevitabile crollo di fiducia da parte degli investitori internazionali verso il nostro Paese, un contraccolpo che porrebbe seri problemi al tentativo di riavvio dello sviluppo e della crescita economica e che priverebbe l’Italia di uno scudo di ultima istanza, facilmente accessibile e universalmente accettato in caso di crisi. L’oro, infatti, ha un valore economico riconosciuto da tutti, data l’incorruttibilità, la scarsità in natura e l’assenza di rischio di insolvenza ed in caso, quindi, di crisi le riserve auree possono essere liquidate subito: in sostanza, è un elemento di forza in più che incide sulla fiducia che un Paese riesce a trasmettere al resto della comunità internazionale. Non bisogna dimenticare in definitiva che le riserve auree hanno funzione di bene rifugio e vengono solitamente paragonate a una polizza d’assicurazione ed in caso di crisi economica e finanziaria di grandi proporzioni avrebbero in definitiva il compito fondamentale di contenerne gli effetti negativi. Questo spiega come la propensione naturale di ogni governo, a prescindere dal colore politico, sia di aumentare le proprie riserve auree anziché diminuirle (vedi Cina e la Russia). Le più consistenti riserve auree al mondo - usando come benchmark quelle del FMI pari a 2.814 tonnellate ed a più di 129 miliardi di dollari – sono detenute dagli Stati Uniti d’America con 8.133 tonnellate per un valore superiore a 373 miliardi di dollari, dalla Germania con 3.369 tonnellate per un valore di circa 155 miliardi dollari, dall’Italia appunto e dalla Francia con 2.436 tonnellate per un valore di circa 112 miliardi di dollari. Seguono, come detto, Russia con 2.168 tonnellate per un valore che si avvicina ai 100 miliardi di dollari e la Cina con 1.885 tonnellate per un valore di circa 87 miliardi di di dollari. Stando a tale classificazione, se in questo periodo di turbolenza dovuta allo scontro commerciale tra Cina e Usa si dovesse arrivare una grave crisi monetaria, i Paesi più esposti sarebbero ovviamente Russia e Cina che, proprio per questo, si stanno dando da fare per accaparrarsi quanto più oro possibile e mettersi al riparo da eventuali cicloni finanziari; Usa e Germania sarebbero al sicuro mentre Francia e Italia potrebbero comunque reggere l’urto. Per quanto poi riguarda il nostro Paese bisogna precisare che solo il 45% delle riserve auree è conservato nel territorio nazionale, il resto è custodito in banche centrali estere sia per motivazioni storiche, riportabili ai luoghi d'acquisto dell’oro, che anche per una scelta finalizzata a diversificare per ridurre i rischi: il 43,29% del nostro oro si trova negli Usa, il 6,09% in Svizzera e il 5,76% nel Regno Unito. Tornando all’idea, da ultimo di Paolo Savona per conto dell’attuale governo, riguardo l’utilizzazione delle riserve auree è bene ricordare che non è la prima volta che se ne parla. Nel 2011 con una lettera al «Sole 24 Ore» Romano Prodi propose di utilizzare le riserve auree per favorire la crescita dell’economia europea; qualche anno prima, nel 2009, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti ipotizzò di tassare le plusvalenze maturate dai lingotti di stato e due anni prima, con il governo di Romano Prodi, si prospettò la vendita di parte delle riserve auree della Banca d’Italia per ridurre il debito pubblico. Insomma, i governi del capitale, a prescindere da etichette e da colori politici, pur di non aggredire il nocciolo del problema – allocazione ed accumulazione del capitale e redistribuzione e reinvestimento in funzione di rilancio produttivo e ridisegno di un diverso sistema economico – progettano assurdi voli pindarici buoni solo a scoraggiare investimenti esteri e depauperare preziose riserve monetarie nazionale.

Luglio 2019




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