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DEBITO PUBBLICO ITALIANO E SOVRANITÀ MONETARIA

In questo periodo di grandi e strutturali difficoltà che sta incontrando il nostro Paese nella gestione e nel contenimento del proprio debito pubblico, la prima cosa da fare è quella di sfatare uno dei miti sovranisti: con il debito pubblico l’Italia non può fare come il Giappone. Il debito pubblico di quel Paese non ha pari nel mondo: nel 2019 ha raggiunto il 240 % del Pil creando così un “paradosso giapponese” e cioè un debito elevato ma con pochi rischi. L'Italia non può seguire questo esempio nella gestione del debito anche se la crisi economica generata dalla pandemia di Covid-19 ha costretto negli ultimi mesi il nostro Paese così come gli Stati di tutto il mondo a ricorrere allo strumento del debito per fronteggiare le cadute rovinose dei Pil nazionali. Il nostro Paese, dopo aver chiuso il 2019 con un debito del 134,8% del Pil, a fine 2020 lo vedrà attestarsi intorno al 166,1%. Tornando al paradosso giapponese è opportuno fare presente che quel Paese - colpito dallo scoppio della bolla speculativa immobiliare e finanziaria nel 1991 e successivamente dalle crisi del 2001 e del 2008 - ha fronteggiato anni di fortissima recessione forzando necessariamente una crescita smisurata del debito, arrivato nel 2019 al 240 % del proprio Pil. Ma il debito giapponese, destinato anch'esso a salire, non ha mai comportato una crisi di sfiducia da parte dei mercati finanziari, cosa che invece accadde nel 2011 al nostro Paese anche con un debito molto più basso di quello nipponico. Come mai? La situazione è più complicata di quanto si pensi e la soluzione al problema non consiste nella proposta di avere e/o recuperare sovranità monetaria. Innanzitutto, nel confronto con quello italiano il debito giapponese non è così alto come si può pensare perché buona parte è detenuto dal settore pubblico giapponese e viene incluso nelle statistiche di debito, cosa che non viene fatta per altri paesi, compresa l’Italia. Quindi, al netto delle attività finanziarie detenute dalla pubblica amministrazione giapponese, in quel Paese il debito si attesta a 153% del Pil. Alto, ma non così eccessivo e inoltre lo Stato giapponese ha molte attività reali, non finanziarie, dalle quale guadagna interessi, così da poter ripagare gli interessi sul debito. Altra grande differenza rispetto alla situazione patrimoniale italiana riguarda la titolarità del debito: nel nostro Paese un’importante fetta, circa il 30%, è detenuta da investitori esteri. Percentuale non altissima, ma comunque rilevante, che comporta sicuramente un rischio speculativo maggiore. Chi detiene il debito pubblico italiano? 19% Banca d'Italia, 15% banche italiane, 5% famiglie italiane, 15% Assicurazioni, 3% Fondi comuni di diritto italiano, 7% altri investitori italiani, 27% investitori esteri, 8,9% Eurosistema e fondi riconducibili al risparmio italiano. Chi detiene il debito pubblico giapponese? 37% Bank of Japan, 25% banche giapponesi, 22% Assicurazioni, 3% Fondi Pensione, 5% pensioni pubbliche, 1% famiglie giapponesi, 6% non residenti, 1% altro. Il Giappone, quindi, vede il suo debito nelle mani dei giapponesi stessi per una cifra intorno al 90-95% del totale, fornendo in tal modo una base solida e stabile e rendendo minimo il movimento degli scambi di titoli. Tra gli investitori nazionali, il più importante per importo è la Bank of Japan (BoJ) il cui lavoro svolto negli ultimi anni attraverso il controllo della curva dei rendimenti dei tassi a lungo termine è stato sicuramente di fondamentale importanza perché ha portato i tassi di interesse a livelli per nulla appetibili ai trader speculativi ma di scarsa efficacia nell’economia giapponese, visto l’abbassamento demografico e la scarsa propensione al consumo dei giapponesi stessi. In queste condizioni date anche l’obiezione più naturale che viene avanzata in maniera ridondante dai «No Euro» e cioè che se avessimo la nostra banca centrale e la sovranità monetaria saremmo solidi come il Giappone, viene smontata dal fatto che anche quando l’Italia disponeva di una propria sovranità monetaria la Lira non era una moneta stabile viste le forti inflazioni e svalutazioni a cui si andava incontro, rendendo così il Paese vittima di attacchi speculativi finanziari. Puntuale in tal senso è arrivato l'avvertimento dell’ex governatore della Banca Centrale Europea (Bce) Mario Draghi che, nell’ultimo meeting di Rimini, ha pronunciato un discorso importante, rimarcando i provvedimenti della Bce negli ultimi mesi e sottolineando anche la necessità dei Paesi di ricorrere allo strumento del debito per fronteggiare la crisi. Distinguendo, però, tra un uso del debito “buono” rivolto a settori importanti con l’obiettivo di rilanciare anche i consumi ed un uso “cattivo” del debito destinato ad aumentare la spesa corrente senza un vero effetto sull’economia. Un messaggio importante rivolto all’Italia, che il governo non può non capire e non cogliere nel modo più giusto.
(fonte: Orizzonti Politici, 4 settembre 2020)




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