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IN ITALIA NESSUNA INVASIONE STRANIERA

Nel 2019 i permessi rilasciati sono 177.254 (-26,8% sul 2018), in calo soprattutto quelli relativi a richieste di asilo (da circa 51.500 a 27.029). Continua a diminuire la presenza non comunitaria: -3% al 1° gennaio 2020 su anno. Aumentano le acquisizioni di cittadinanza, sono 127.001 nel 2019. Quasi nove su dieci riguardano cittadini precedentemente non comunitari. Nel 46,7% dei casi i cittadini non Ue vivono in zone densamente popolate. Nei primi sei mesi del 2020 sono stati concessi a cittadini non comunitari circa 43mila nuovi permessi di soggiorno (meno della metà del primo semestre 2019).

Nuovi ingressi già in calo prima della pandemia

La diminuzione dei flussi in ingresso nel nostro Paese era iniziata già prima della pandemia da Covid-19. La contrazione ha interessato in maniera generalizzata i permessi richiesti per tutte le diverse motivazioni all’ingresso. Tuttavia, anche nel 2019, il calo maggiore ha interessato i permessi rilasciati per richiesta di asilo, passati da circa 51 mila e 500 nel 2018 a 27.029 nel 2019 (-47,4%). Sono in calo anche i permessi per lavoro (-22,5%), cresciuti invece tra il 2017 e il 2018; i permessi per ricongiungimento familiare (-17,8%); i permessi per studio (-7,4%), caratterizzati da un’elevata quota di ingressi di giovanissimi (oltre il 56,5% ha meno di 25 anni) e di donne (57,9% dei flussi per studio). Anche dal punto di vista delle cittadinanze la diminuzione degli ingressi è stata generalizzata, sebbene con notevoli differenze tra esse. Il decremento dei cittadini nigeriani nel 2019 supera il 66% rispetto all’anno precedente, mentre per gli albanesi il calo è dell’8,7%. La Nigeria passa così dal terzo posto della graduatoria generale dei nuovi rilasci al decimo. Il calo dei nigeriani è da riconnettere alla diminuzione dei permessi per richiesta di asilo che, tra il 2018 e il 2019, sfiora il 75% e fa sì che il Paese, dopo 4 anni, perda il primato di ingressi per protezione internazionale a favore del Pakistan. Considerando gli ingressi con permesso per richiesta di asilo distinti per cittadinanza, a fronte di una generalizzata, anche se diversificata, tendenza alla diminuzione spicca il dato relativo al Perù, che compare per la prima volta nel 2019 tra i primi dieci Paesi per questa motivazione di ingresso, collocandosi direttamente al settimo posto con oltre mille permessi (+174,5% rispetto al 2018). Per la collettività cinese sono diminuiti in modo rilevante gli ingressi per lavoro (-51,4% dal 2018) e hanno subito una contrazione molto più elevata della media i nuovi ingressi per motivi di famiglia (- 36,8%); pressoché stabili invece i permessi per studio, che ormai interessano oltre la metà dei nuovi ingressi della collettività asiatica (nel 2018 poco più del 40% dei primi rilasci). Nel 57,9% dei casi i cittadini cinesi che entrano per studio hanno meno di 25 anni e nel 75% sono donne. Per il Bangladesh, in controtendenza rispetto al dato generale, sono aumentati sia i permessi per famiglia (14,8%), sia quelli per studio (+21,9%). Anche per il Marocco, che registra un calo rilevante dei permessi per famiglia (-39,6%), crescono molto i permessi per studio (+45,8%) che tuttavia risultano piuttosto esigui in termini assoluti, appena 450. Il Marocco è comunque il primo Paese africano per numero di permessi per studio. Tra il 2018 e il 2019 l’intera Penisola è stata interessata dal blocco delle migrazioni. Le regioni dove il calo è notevolmente sopra la media sono Sardegna (-56,8%), Calabria (-53,4%) e Sicilia (-48,1%); quelle con le contrazioni di minore intensità – sebbene sempre rilevanti – sono Veneto (-14,9%) e Lazio (-19,4%).

1° semestre 2020: l’emergenza Covid-19 dimezza i nuovi arrivi

La diffusione dell’epidemia da Covid-19 ha portato molti Paesi a chiudere le frontiere sia in entrata sia in uscita; questi provvedimenti hanno avuto conseguenze rilevanti sui flussi migratori verso il nostro Paese. Nei primi sei mesi del 2019 erano stati rilasciati oltre 100 mila nuovi permessi di soggiorno mentre nello stesso periodo del 2020 ne sono stati registrati meno di 43 mila, con una diminuzione del 57,7%. I mesi che hanno fatto registrare la contrazione maggiore sono aprile e maggio (rispettivamente -93,4% e -86,7%), tuttavia già a gennaio e febbraio il calo dei nuovi ingressi ha sfiorato il 20% in entrambi i mesi, un dato in linea con la tendenza alla diminuzione avviatasi dal 2018. Tutte le diverse motivazioni all’ingresso hanno risentito della chiusura delle frontiere e del rallentamento dell’attività amministrativa nelle prime fasi del lockdown, anche se con intensità diverse. La motivazione di ingresso più rilevante, quella per ricongiungimento familiare, ha visto una contrazione del 63,6% mentre i permessi per richiesta asilo sono diminuiti del 55,5%. Anche se meno consistente in termini assoluti, va poi sottolineato il calo degli ingressi per lavoro stagionale, su cui ha pesato molto la chiusura delle frontiere; la diminuzione in questo caso è stata del 65,1%: da 2.158 nuovi permessi per tale motivazione nei primi sei mesi del 2019 a 753 nel primo semestre di quest’anno. Se si considera il livello regionale, in Emilia Romagna, che è la regione in cui era stato registrato il maggior numero di permessi per lavoro stagionale nei primi sei mesi del 2019, la diminuzione è del 90%. Guardando le diverse collettività, la diminuzione è stata in alcuni casi superiore alla media, in particolare per quelle provenienti da India, Marocco, Ucraina, Albania e Bangladesh. A livello territoriale il decremento è stato generalizzato anche se ha colpito le diverse regioni in misura differente. In termini relativi la regione che ha registrato la diminuzione più rilevante è l’Umbria (- 71,6%) seguita da Calabria (-68,2) ed Emilia-Romagna (-68,0%). Più contenuti i cali in altre regioni come Lazio (-40,0%) e Molise (-32,0%). In termini assoluti è però la Lombardia a far registrare la contrazione più accentuata nei primi sei mesi dell’anno: -14.655 nuovi permessi. I dati riferiti ai primi sei mesi del 2020 sono provvisori e vengono diffusi con l’intento di contribuire tempestivamente al monitoraggio del fenomeno. Per un bilancio complessivo dell’impatto della pandemia di Covid-19 sui nuovi flussi di ingresso e sulla presenza di cittadini non comunitari sarà necessario attendere la fine dell’anno 2020. Rispetto alla presenza, in particolare, andranno valutati gli effetti della procedura di emersione dei rapporti di lavoro, avviata il 1° giugno ai sensi dell’articolo 103, comma 1, del decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020, che ha portato alla registrazione, in base ai dati diffusi dal Ministero dell’Interno, di oltre 207 mila domande.

Meno cittadini non comunitari, soprattutto cinesi

In Italia i cittadini non comunitari con regolare permesso di soggiorno sono diminuiti del 3% circa (da 3.717.406 al 1° gennaio 2019 a 3.615.826 al 1° gennaio 2020). Per otto delle prime dieci cittadinanze si registra una diminuzione, crescono solo (meno del 2%) i cittadini dell’India e del Bangladesh. Il calo più rilevante ha interessato i cittadini cinesi (-5,3% al 1° gennaio 2019). Risulta contenuta la crescita relativa dei permessi di soggiorno di lungo periodo (63,1% del totale). Lieve incremento anche per la quota di minori che tocca il 22%, confermando la prevalenza dei giovani fra i non comunitari. Resta bilanciata la presenza per genere: ci sono 49 donne ogni 100 cittadini non comunitari, con situazioni fortemente differenziate all’interno delle diverse collettività: le donne sfiorano il 79% del totale tra gli ucraini, ma sono meno del 30% della collettività del Bangladesh. Considerando soltanto i permessi con scadenza (quindi non di lungo periodo), il 46% dei cittadini non comunitari si trova in Italia per motivi di famiglia, il 29,4% per lavoro e il 16,2% per motivi di protezione internazionale, ma sono notevoli le differenze territoriali. Al Sud e nelle Isole la quota di permessi di soggiorno per famiglia si attesta al di sotto del 37%; mentre nel Nord-est e Nord-ovest supera il 50%. Al contrario le presenze connesse alla protezione internazionale sono più significative al Sud e nelle Isole (oltre il 29%) e più contenute nel Nord-est e nel Nord-ovest (rispettivamente 13,8% e 11,5%).

Cittadini non Ue più presenti nelle città

Il 46,7% dei cittadini non comunitari vive in città o in zone densamente popolate; il 41,5% in piccole città e sobborghi e l’11,8% in zone rurali o scarsamente popolate. Non si evidenziano particolari differenze di genere, ma le eterogeneità emergono all’interno delle ripartizioni. Nel Nord-ovest e al Centro la presenza si concentra nelle città e nelle aree densamente popolate dove vive rispettivamente il 51,9% e il 50,0% dei cittadini non comunitari; nel Nord-est e al Sud prevalgono i piccoli centri (45,7% e 43,4%) e le zone rurali ospitano ben il 15,3% (nel Nord-est) e il 14,7% (al Sud) degli stranieri regolarmente soggiornanti. Le collocazioni territoriali delle varie collettività rispondono ai diversi modelli migratori e di inserimento lavorativo La concentrazione in città risulta massima per filippini (84,1%), egiziani (69,3%) e cittadini del Bangladesh (67,9%). marocchini e albanesi, le due collettività di più antico insediamento preferiscono i piccoli centri (con percentuali sopra il 53%); per i marocchini si colloca sopra la media anche la percentuale di coloro che scelgono aree rurali (quasi il 20%), tipologia di insediamento molto diffusa anche tra gli indiani (quasi il 24%). Con riferimento al motivo del soggiorno, i lavoratori stagionali vivono in quasi il 44% dei casi in comuni rurali, mentre chi entra per studio vive in città o in aree densamente popolate (84% dei casi circa). Considerando congiuntamente territorio e cittadinanza emergono interessanti differenziazioni: ad esempio gli indiani nel Nord-est si collocano in quasi il 30% dei casi in zone rurali mentre al Centro la stessa collettività solo nel 12,3% dei casi vive in zone scarsamente popolate.

Acquisizioni di cittadinanza in lieve aumento

Gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana nel corso del 2019 sono stati 127.001; di questi 113.979 (89,7%) erano precedentemente cittadini non comunitari. Si registra un lieve incremento rispetto al 2018, quando i cittadini non comunitari divenuti italiani erano stati poco più di 103 mila; è cresciuta più la componente maschile (+14,2%) rispetto a quella femminile (+6,7%). Nel 2019, tra le prime dieci collettività per numero di acquisizioni, i maggiori incrementi rispetto al 2018 si evidenziano per macedoni (+42,4%), pakistani (+37,9%) ed ecuadoriani (+31,9%), mentre gli indiani mostrano un evidente calo sia in termini assoluti (-742) sia relativi (-13,7%). Rispetto all’anno precedente, nel 2019 tornano a crescere le acquisizioni per residenza e quelle per elezione, ovvero dei diciottenni nati e residenti in Italia che decidono di diventare italiani (+28,3% e +15,1% rispettivamente); continuano ad aumentare i nuovi italiani che acquisiscono la cittadinanza per ius sanguinis, ovvero per discendenza da un avo italiano (+27,1%). Subiscono, invece, un forte decremento le acquisizioni per matrimonio (-29,8%). Nel 2019 più del 40% del totale delle acquisizioni dei cittadini non comunitari si è verificato per residenza; oltre la metà dei nuovi italiani originari della Moldova, Ecuador, Perù e Albania ha acquisito la cittadinanza con questa modalità. I minori sfiorano il 30% della popolazione che ha acquisito la cittadinanza, mentre i procedimenti per matrimonio pesano sul totale poco più del 13%; questa modalità è però particolarmente diffusa tra le donne marocchine, le quali in oltre il 30% dei casi ottengono la cittadinanza sposando un cittadino italiano, che verosimilmente potrebbe essere un uomo di origine marocchina divenuto italiano in precedenza. I cittadini sudamericani acquisiscono la cittadinanza prevalentemente per ius sanguinis, in particolare quelli di Brasile e Argentina; nel 2019 questi due paesi da soli coprono quasi il 96% delle acquisizioni per questo motivo.

Nelle regioni del Nord due nuovi italiani su tre

Dal punto di vista territoriale, quasi due nuovi italiani su tre risiedono in una regione del Nord. Più uniforme appare invece la distribuzione geografica delle acquisizioni per discendenza, per le quali si registra una lieve prevalenza delle regioni del Sud, con il 29,3% del totale delle acquisizioni per ius sanguinis. La distribuzione all’interno delle regioni evidenzia una netta prevalenza delle acquisizioni per residenza in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Liguria, dove rappresentano più della metà dei procedimenti. In Molise, Basilicata e Calabria, invece, vi è una preponderanza dei nuovi italiani per discendenza, con quote che oscillano dal 53% al 49% circa del totale delle acquisizioni verificatesi in quelle regioni. Naturalmente alla base di tale prevalenza si colloca il passato di “terre di emigrazione” di queste regioni che, al tempo stesso, sono meno interessate dall’insediamento stabile di migranti provenienti da paesi non comunitari rispetto ad altre.

(fonte: Il Giornale delle PMI, 27 ottobre 2020)



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