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UNA NUOVA POLITICA ECONOMICA CONTRO IL PROTEZIONISMO AMERICANO

Con grande lucidità ed equilibrio i governi europei devono prendere atto che le politiche protezionistiche degli USA, maggior partner commerciale dell'Unione europea, avranno un forte impatto in quanto l'Europa trae il 50% del proprio prodotto dal commercio estero, gli Stati Uniti il 26% e la Cina il 32%. Rispondere ai dazi con i dazi significa creare ulteriori problemi all'export europeo - ed italiano - e quindi alla nostre economie perché più vulnerabili rispetto a quella degli USA. Così come la risposta agli USA con accordi bilaterali, non in maniera univoca e compatta da parte europea, fa il gioco proprio di chi punta a minare l'unità politica dell'Europa. Stando insieme gli europei hanno più potere contrattuale che non in ordine sparso. Più del 20% delle esportazioni europee è diretto negli USA, alzare un muro tariffario porterebbe l'Europa inevitabilmente a dirottare le proprie esportazioni in altri mercati. Questo non è male ma non basterebbe perché quello che l'Europa (a maggior ragione l'Italia) deve prioritariamente fare - a poco infatti servirebbe mantenere l'elevato surplus commerciale a fronte di una progressiva chiusura dei mercati esteri - è lo sviluppo della domanda interna che comporta maggiore spesa pubblica per le infrastrutture, la ricerca e per l'innovazione, per il clima. Lo squilibrio finanziario europeo si aggrava dalla crisi finanziaria del 2010 a cui l'Italia rispose sacrificando la spesa pubblica e comprimendo i salari come strumento di concorrenza anche perché - vista la situazione dei mercati finanziari - il nostro Paese era entrato in competizione con altri Paesi europei. Quindi, austerità finanziaria e creditizia e bassi salari hanno contribuito in Italia a comprimere la domanda interna in aggiunta alla mancata apertura del mercato interno che avrebbe permesso alle nostre imprese, soprattutto nei servizi che rappresentano il 70% del nostro Pil, di vendere ed espandersi nel mercato comunitario. Cosa oggi permessa solo a grandi gruppi che hanno una loro filiale unica con rappresentanza legale in Europa, quindi alle multinazionali (Google, Amazon ed altre). Stando così le cose, da un lato nessuna possibilità di espansione nel mercato europeo e, dall'altro, surplus commerciale andato in esportazione, soprattutto verso gli USA, hanno contribuito a mantenere povero il nostro tessuto industriale e commerciale. Quindi, serve ritornare, e ripensare, alla crescita della domanda interna. Non mancano le capacità per voltare pagina: agire sulla leva inflattiva e salariale, da un lato, e su quella dello sviluppo produttivo e dei consumi, dall'altro. Lo sviluppo produttivo, infatti, dipende dalla domanda che a sua volta dipende dal reddito, che è uguale alla produzione. Bisogna ingenerare un effetto moltiplicatore nel sistema economico: l'incremento della domanda fa aumentare la produzione; l'aumento della produzione porta a un aumento del reddito dello stesso ammontare, dato che domanda e produzione sono identicamente uguali; la crescita del reddito aumenta ulteriormente il consumo che a sua volta genera un aumento della domanda, e così via. Aumenti salariali e massima occupazione possibile devono poi necessariamente completare e dare impulso al cambio di passo strategico in politica economica. Ma una domanda è d'obbligo: questo governo è in grado di attuare, in concreto e nei fatti, una politica economica espansiva, stimolando la domanda interna come propulsore dell'offerta, massimizzando l'occupazione ed aumentando i salari?





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